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Congiura! Complotto!
Attentato!

Non ci sono altre parole (in realtà ci sono: intrigo, cospirazione, alto tradimento…) per descrivere il tracciato della gara di orienteering svoltasi a Repen lo scorso 20 ottobre.

Larry – diranno subito i nostri piccoli lett-ori –  sei un po’ indietro con i resoconti delle gare? Non si è già svolta la gara di Muggia, alla quale hai fatto la consueta figura dello gnocco fritto?

Mi rallegra, e mi fa affrontare le gare nella migliore disposizione d’animo, sapere che seguite così appassionatamente le mie performance atletiche, e in effetti sono già tornata sui campi di gara, ma la verità è che ci ho messo un po’ a riprendermi dallo choc per il complotto di cui sono rimasta vittima e vengo solo ora a raccontarvi l’ignominioso accaduto.

Guardate la carta.
Non occorre spendere altre parole.

È palese che il tracciatore ha pensato il percorso per mettermi in difficoltà.
Di sicuro, dato il prestigio del mio nome, l’organizzazione tutta ha congiurato affinché ottenessi un pessimo risultato, per fare sensazione sui media e creare “il caso”.
Sei punti su nove in discesa, infatti, non possono essere una coincidenza.

Secondo voi, un’atleta esperta e preparata come me si è lasciata mettere in difficoltà da siffatti trucchetti?
Un’orientista della mia maturità e levatura si è fatta intimidire da due curve di livello avverse?
Certo che sì.
Ho perso la gara all’inizio della discesa (vale a dire: quando sono scesa dal letto), e per giunta quella belin di discesa non finiva proprio mai.

 

 

Si sa, infatti, che quando dico che il dislivello mi fa una pippa, mi riferisco solo a quello positivo, poiché quello negativo mi paralizza.

Recentemente, l’orientista più affascinante del mondo – che non perde occasione per prendermi per il culo – ha colto il facile spunto della mia prestazione nella corsa per esercitare il suo dileggio, asserendo che il soggetto (che sarei io) “soffre un po’ in salita“.

Con l’animo dilaniato dalla critica, mi sono precipitata a farmi consolare da Zzi: il mio paziente torturato… ehm! – no – … allenatore, che da tempo immemorabile mi trascina a “correre”, raccontandomi un sacco di balle per convincermi di un inesistente miglioramento e far sì che io replichi l’esperienza. Egli, anche questa volta, ha avuto parole di conforto.

 

Riflettendo a fondo, dunque, dobbiamo riconoscere che – se proprio vogliamo trovare un difetto alle mie doti atletiche – qualche difficoltà, in discesa, è riscontrabile.

Si tratta, ovviamente, di un’inezia, una piccola mancanza che non inficia la mia prestazione media, poiché il livello della performance si discosta di poco da quello complessivo.

Gli organizzatori – l’antica e blasonata casata dei Corvonero, dalla quale (scoop!) anche Zzi e io abbiamo fatto parte in gioventù, prima di capire di essere Grifondoro – devono, però, avere temuto molto il mio risultato e hanno sicuramente studiato a lungo le mie caratteristiche atletiche e tecniche, andando a cercare i miei punti deboli con la lente (stavo per dire “col lanternino”, ma ho voluto risparmiarvela) e individuando lacune che a stento sarei stata io stessa capace di riconoscere.

Non c’è altra spiegazione per un percorso che ricalca la gittata di Matilde, l’uccellino bianco  che pesa una tonnellata e per il quale è necessaria una rincorsa tremenda per non farselo cadere davanti alla fionda in Angry Birds.

Il primo punto è in salita.
“Perfetto per te” – diranno subito i miei piccoli lettori strafottenti.
Sì, sì, voi non ci credete, ma sarebbe stato perfetto, non fosse che era un po’ troppo presto; a me il dislivello fa – sì – una pippa, ma solo se sono un po’ intiepidita, se sono fredda come un cadavere, proprio indifferente non mi lascia.

È mia precisa strategia non scaldarmi mai prima dell’inizio di una gara, per risparmiarmi; ho paura, infatti, che lo sforzo del riscaldamento mi sia letale e mi sottragga energie fondamentali per il completamento della gara, quindi – tipicamente – al primo punto ci resto secca. Vuoi perché è in salita ed è troppo sforzo; vuoi perché è in discesa e ho paura; vuoi perché è in piano, mi sorprendo di andare bene, corro troppo, vado lunga e/o nella direzione sbagliata e devo, di conseguenza, tornare indietro a perdifiato, io al primo punto ci resto secca.
Le mie gare iniziano, quando va bene, alla lanterna numero due, ma più spesso intorno alla quarta o quinta, quando è partita abbastanza gente dopo di me e mi ha superata in più punti del percorso, indicandomi man mano, suo malgrado, le direzioni da tenere in considerazione.

Giunta nei pressi del punto uno, ho forti sospetti sull’ubicazione della lanterna e ritengo sinceramente che avrei potuto anche trovarla da sola, ma una ragazza partita due giorni dopo di me ci arriva prima, togliendomi tutto il gusto del ritrovamento, e io mi sento un po’ come Indiana Jones che recupera un idoletto e se lo fa soffiare sotto il naso dai nazisti, ma almeno non sono dovuta fuggire da un macigno.

Noto con sollievo che la ragazza veloce (“veloce”… normale!) non ha il mio percorso: deve, infatti, prendere il sentiero più a sinistra, ed è costretta a scavalcare una recinzione, mentre io dovrò andare su quello a destra.
‘petta ‘n po’.
Fa’ vedere…

Miiinchiaah.
No, mi sono sbagliata: devo andare anche io da quella parte, dentro la recinzione.

Sarà elettrificata?
Dimentico completamente che una ragazza c’è appena passata e, non essendo ella stesa al suolo in agonia, dovrei già sapere che la risposta è “no, la recinzione non è elettrificata”.
Mi accosto, comunque, con estrema circospezione e sfioro rapidamente i cavi con il dorso del polso. Non passa corrente.
Allora sono io che devo proprio passare di là.

Siccome la recinzione è un po’ alta, mi conviene appoggiarmi a un albero per scavalcarla, altrimenti mi imbelino in terra, e per farlo mi allontano dal sentiero di un paio di metri.
Dall’altra parte della recinzione, però, il terreno non è amichevole, e metto subito un piede nei rovi.
Quando riappoggio anche il secondo piede, districarsi è un casino, ma in qualche modo guadagno il sentiero. Lì trovo due ragazzi sui 18/20 anni che mi fissano con un’espressione tra l’esterrefatto e il deluso per la fine dello spettacolo. Lei riesce a fermarlo un attimo prima che lui si metta ad applaudire e chieda quando comincia il numero delle torte in faccia.

Più tardi, dall’alto della sua esperienza, il generoso rem mi darà preziosi consigli su come affrontare situazioni come questa (“Minchia, Larry, in questi casi ci si affaccia! Sei anche alta, affacciati e guarda cosa c’è dietro!” – “No, ma non occorreva: era un “recinto” nel scenscho che scerve a non far schkapparhe le beschtie, ma in pratica schon quattro cavi schpesschi schì e no come il Mi, non occorrhe affacciarschi” – “E allora guardaci, cribbio!”).

 

 

A tutte le successive lanterne si arriverà tramite sentiero, tranne alla numero 3, che io raggiungo con relativa precisione, stando sulla curva di livello. La rotta non è malvagia, la velocità di crociera è esasperante e forse buona parte del merito del ritrovamento va a quella mezza dozzina di atleti della mia giovane, ma rispettabile società, che hanno punzonato prima di me dopo avermi superata, o dopo aver optato per la corsa sul sentiero poco più a monte, e hanno – come dire? – leggermente enfatizzato il “bip” della centralina per infondermi fiducia.

Dalla tre in poi è una tragedia in cinque atti, non so se ho più paura per me o per quelli che corrono in discesa. Ok: per me.
Già mi vedo spalmata sul sentiero con il mento (il mio delicato mento) sfondato e le ginocchia maciullate, senza neanche più un dente in bocca.
Non è così che voglio risolvere il mio conflitto con il dentista e i miei recentemente occorsi  lievissimi difetti di pronuncia: procedo cauta come un mamuthone in una nursery.

Arrivo quando arrivo.

Giusto alla fine, visto che il tracciatore non è riuscito a piazzare anche l’ultimo punto in discesa perché evidentemente il comune non gli ha dato il permesso di scavare, corricchio verso il traguardo, ma non lo vedo e prendo il finish alle spalle.

 

 

Non fa niente, non ci sono rimasta male perché non sono riuscita a muovere due passi di seguito senza appoggiarmi a un albero per rifiatare dallo spavento, perché sono stata trascinata nel bosco contro la mia volontà e perché mi hanno fatto fare il percorso lungo la corda.

Tanto io sono un’atleta di eccezionale levatura, preparata tecnicamente e atleticamente, velocissima nella lettura della carta, agile, fisicamente resistente e veloce.
Il risultato che ho ottenuto dipende esclusivamente dalla situazione contingente, in cui tutte le condizioni più avverse si sono condensate, ivi incluse alcune farfalle che di certo erano state artatamente liberate sul terreno di gara poco prima del mio passaggio.

È così!

 

 

 

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