Larry ai Parchi di Nervi [2]

On 21 Febbraio 2014, in Orienteering, by Larry

[Continua da qui, e su Larrycette.com è già stato pubblicato l’audio completo del post]

Orienteering ai Parchi di Nervi (GE), 9 febbraio 2014, WA (Larry)

 

 

La quattro è dove stavo andando prima, la cinque è sul ponte, la sei è di fianco, la sette è dietro la pizzeria, la otto è lì davanti.
Non so se ci fosse molto da scegliere (sulla sette forse sì), sta di fatto che durante la gara non vedo altre scelte di quelle che compio e non me la sto a menare più di tanto.
Procedo a una velocità tale che mi cronometrano col calendario, ma procedo convinta.

Andando alla nove incrocio un Marirosino, anche se non so quale dei due (potrei leggere le liste di partenza, perché ce n’era solo uno, ma mi piace approssimare), e sono molto soddisfatta per aver imparato a riconoscerlo. Certo, l’ho riconosciuto dalla maglia e se lo incontro per strada vestito in abiti civili non lo saluto, ma per fortuna lui non mi conosce e – almeno con lui – sono al sicuro da figuracce.

Mentre sono lì che penso che “uh, poi ce lo dico a Marirosa che ho visto il suo bambino, come correva forte, che bravo – quale? – eh, quale, belin, anche te, quanti ne mandi in giro?, beh, sì, allora, magari, prima di dircelo, un’occhiata alle liste di partenza ce la do”, giungo sul punto della nove, ma la lanterna non c’è. Senza neanche guardare la descrizione, mi sovviene che avevo notato che la seconda lanterna presso un ponte era chiaramente indicata “sotto”, e io sono un’idiota integrale perché, prima della partenza non ho fatto altro che ripetermi il mantra “primo ponte, sopra – secondo ponte, sotto”, e ora che sono al secondo ponte – giustamente – ci vado sopra.
Scendo, punzono e vado alla dieci, che è sulla strada e la punzoni anche se non vuoi.

Qua riprendo la ragazza che, partita eoni dopo di me, mi aveva preso alla cinque, ma è un caso fortuito, perché al secondo passaggio nel caruggio insaponato mi dà via e non la vedrò mai più.
Ho decisamente sbagliato scarpe, oppure ho sbagliato corpo, perché lei ammette che si scivola, ma la sua corsa non ne risente. Conveniamo che non c’è alternativa al ripassare dal tunnel – e dai gradini assassini – per andare alla dodici, solo che lei lo afferma parecchi secondi dopo aver punzonato e io annuisco, ancora atterrita dal terzo scivolone, abbondantemente prima di infilzare la stazione.

Quando, dopo essere scivolata per la quarta volta su quattro nello stesso punto, vedo, letteralmente, la luce in fondo al tunnel, lei non c’è più. Noto con sollievo che non è spalmata per terra e cerco di portare a casa il bacino, non disdegnando di ammonire due che hanno preso il tunnel a velocità neutrino e, secondo me, rischiano di spaccarsi i denti.
Sono controluce e non li vedo in faccia, ma uno ha una voce familiare. Escludendo Zzi, la cui dolce capoccina è riconoscibile in ogni condizione di luce, ipotizzo che sia Il Ciacola.

Slavonija-Baranja-Open-2013-Osijek-02

Vi ricordate del Ciacola, il simpatico gianduiotto croato?
Lo avevamo conosciuto a Osijek, dove ero anche stata immortalata in un memorabile gesto atletico.

Io non l’ho più visto da allora; gli ho mandato un paio di volte i miei saluti tramite Lalessiolaltro, ma non sono certa abbia capito chi fossi.
Che fortunata coincidenza che sia qui, vorrei tanto sapere come sta, cosa fa di bello adesso, cose così… quasi quasi ce lo domando… però, se non è lui, che figura ci faccio?… Che, poi, neanche si ricorderà… No be’, si ricorda per forza, eravamo gli unici che parlavamo la sua lingua… Allora, intanto ci domando se è lui, poi ci chiedo il resto, se è lui…

Siccome, con ogni probabilità, era Il Ciacola veramente, ho percepito sul viso il vento del suo passaggio quando ancora stavo pensando “fortunata coincidenza”, e non ho avuto occasione di socializzare. Me ne rammarico, ma per certi versi non è un male: non so se agli elite piaccia essere abbordati dalle WC nel pieno svolgimento della gara, alcuni di loro manifestano un’assurda preferenza per il risultato, anziché per una piacevole conversazione.

Intanto arrivo alla dodici, che so dov’è, e poi raggiungo la tredici, che capisco perfettamente dove sia, sono certa che ci sia, ma che avvicino molto piano e con fare indifferente, un po’ perché non c’è nessuno che sta andando a punzonare, e potrebbe significare che non c’è, un po’ perché ci sono quindici bambini e nessuno che mi urli che “è lààààha” (altro indizio di mancanza della lanterna), un po’ perché è praticamente in mare e sicuro che sono così abelinata da scivolare in acqua, un po’ perché in cuor mio ho paura che, se mi sente arrivare, scappi.

Rientro nei parchi per la strada che mi pare migliore e mi compiaccio della precisione della carta.
Un orientista ci si deve divertire un mondo e anche io, lo ammetto, non la sto vivendo male.
D’altro canto, l’ha fatta rem.
È proprio figa, belin, batte il filo d’erba. È veramente impossibile confondersi con una carta così, di un terreno così.

Dalla quattordici in poi, infatti, è un crescendo di oricazzate che levati.

Giunta sul punto, mi accanisco a cercare la lanterna al limite della vegetazione, guardandomi ripetutamente intorno per avere conferma di essere nel posto giusto. Dopo un po’ mi sovviene di leggere la descrizione, che dice chiaramente “recinto”. Ora, se non vedi il recinto, ma la carta dice che c’è e che la lanterna è lì, anziché cercare la lanterna altrove perché il recinto non c’è, la cosa da fare è cercare il recinto.
Trovato il recinto, che – pensa un po’ – era proprio dove la carta diceva che fosse, cioè dentro il verdino, e non attorno, trovata la lanterna.

La quindici è lontana e da qualche parte giù in basso, vale a dire una di quelle lanterne che il Celere Capellone dice che si fanno prendendo intanto la direzione a spanne, e poi aggiustandosi nei pressi perché comunque, fino a un dato punto bisogna arrivare.
Io metto in pratica i suoi insegnamenti e vado, ma mica tanto convinta, quindi vado molto piano, e neanche tanto attenta, perché a un certo punto ho un’idea solo vaga di dove sono. Poi una salvifica costruzione mi dice che sono pazzescamente più avanti di dove credevo di essere, ma siccome è la direzione giusta, è un bene.

La sedici la trovo, sì, ma nella diciassette casco come una pera. È palese che da lì non si passa, c’è una riga nera, in carta, grossa come un striscia di liquirizia, ma io no, io penso “figurati se non si può andare di qua; figurati se ti fanno fare tutto il giro, dai…”. La mia profonda esperienza di profiler di tracciatori, infatti, mi dice che uno che ha pensato questo percorso (anche se mi ha mandato due volte in quel caruggio di merda, per proseguire oltre il quale si poteva solo tornare sui propri passi, “☞„ eh-eh-eh) non può avere anche previsto di farmi fare il giro del Fullo per punzonare la diciassette, quindi, per forza, si deve passare di qua.

Ho ragione, ma sbaglio.
Ho ragione perché il tracciatore non ha affatto pensato di farmi fare il giro del Fullo, ma sbaglio perché è vero quel che dice la carta, e di là non si passa. C’è un terzo passaggio (anzi, un secondo, perché il primo esiste solo nel mio mondo fatato), che io vedrò solo durante la sosta all’autogrill di Ghedi.

Anche per la diciotto, dunque, risalgo nei parchi dalla parte sbagliata, facendo chilometri e chilometri in più, o almeno così credo e decido di recuperare da qui all’ultima lanterna, tagliando per i prati, riempiendomi di fango, ma risparmiando un sacco di strada.

Solo che la prossima lanterna non è l’ultima.
Non che la cosa abbia una qualche rilevanza, per me, che mi accingo a punzonare il finish in totale inconsapevolezza, ma in quella mi appare l’Arcangelo Gabriele, che mi chiede se ho punzonato la 100.
Io, per tutta reazione, polemizzo, lamentandomi che dovrebbe essere quella, e lo guardo come per dire “cazzo, scambia le etichette, no? Valla a prendere, fa’ qualcosa!”

Ora, dopo quindici anni dalle suore, io dovrei avere abbastanza confidenza con Dio da sapere che non gli piace che si faccia gli strafottenti coi suoi ragazzi, ma ormai la frittata è fatta e Dio – che quando ci sono Arcangeli di mezzo è sempre quello permaloso e vendicativo del Vecchio Testamento, mai quello comprensivo e incline al perdono del Vangelo – mi fa il collaudato numero di Babele con le vocine nella mia testa.
Ciascuna si è messa a parlare una lingua diversa, molte delle quali a me sconosciute. Non si capiva niente e il corpo ha interpretato male le istruzioni, andando da un’altra parte. È andata così, non c’è altra spiegazione.

È andata così, perché l’unica altra spiegazione è che sono una minorata mentale.
Dal finish alla cento c’erano 30 metri, bastava girarsi nella direzione giusta e la si vedeva, o si vedevano gli atleti punzonarla. Bastava percorrere le loro orme al contrario. Bastava guardare la carta. Bastava guardarsi intorno. Bastava qualsiasi cosa.
Ma io sono stata condannata da Dio a vagare lontano dal Paradiso Terrestre, e così ho fatto in lungo e in largo, poi Dio ha avuto pietà di Zzi, che mi aspettava per tornare a casa, ha diradato la tenebra nella mia testa e mi ha concesso di completare il percorso.

Resto del parere che, se impiegassimo la Lanterna Magna su tutti i punti, niente del genere sarebbe potuto accadere.

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2 Responses to “Larry ai Parchi di Nervi [2]”

  1. The Speaker ha detto:

    I tuoi fans non lo ammetteranno mai. Sono, appunto, tuoi fans e piacerebbe loro leggere una tua cronaca di una gara (magari in WCB, in WA, in WElite!) nella quale parti come una scheggia, volteggi tra le lanterne, scavalchi come Silver Surfer le tue avversarie ed arrivi al traguardo vittoriosa come la modella della Nike di Samotracia. Temo pero’ che di quella gara finiremmo per non leggere alcuna cosa che si avvicini lontanamente a questi due post.
    Per questo motivo, avendo tu gia’ vinto egregiamente una classifica annuale regionale, non posso che sperare che mai le Lanterne Magne vengano usate per i tuoi percorsi.
    Con invidia
    Spi

  2. marirosa ha detto:

    Notizie dei miei -ini sono sempre gradite.
    Infatti, se non siamo nei 4-5 giorni all’anno in cui una particolare congiuntura astrale li porta entrambi a Trieste, spesso non sono in grado di rispondere a chi mi chiede dove sono…

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