In caso, invece, vogliate i più sordidi particolari della mia gara in centro storico a Vipava, in occasione del terzo giorno della Bubo Cup 2013, eccovi accontentati.

Il tracciato del GPS preso con Runkeeper la dice già spaventosamente lunga sulle mie madornali cazzate in quella che, essendo una vera gara sprint, non perdonava esitazioni.

Ora non vorrei mettermi a parlare sul serio di orienteering – perché o non vi interessa, e allora non dovrei abusare della vostra pazienza, o vi interessa, e allora ne capite certamente più di me e non devo mettermi a pontificare – però ci tengo a specificare che ho con esso il medesimo rapporto che ho con la guida: lo faccio di merda, ma non è che non ne so proprio un cazzo di niente.

Ad esempio: sono bravissima a far posteggiare gli altri. Io sono quella che dice “venga dotto’, avanti, avanti… ‘un se preoccupi“, e se dico che la macchina ci sta, vuol dire che ci sta, tu puoi pure manovrare a occhi chiusi che, con le mie indicazioni, posteggi perfettamente. Poi, se mi siedo al volante, sto sei ore a guardare fuori dal lunotto posteriore perché non so da che parte lo devo girare, figuriamoci se riesco a capire anche “quando”, ma questo è tutto un altro paio di maniche.

Parimenti, non so fare orienteering, ma sono in grado di distinguere una sprint da una gara corta.
Questa era una sprint, cioè veniva – sì – via veloce senza stare le ore a lambiccarsi il cervello per decidere dove passare, ma solo se eri bravino, altrimenti ti fregava con la possibilità di diverse scelte di percorso, di cui la più giusta non era sempre la più immediata.
Il che, tradotto nella lingua degli orientisti, vuol dire che era proprio divertente, solo che io non lo ammetterei neanche sotto tortura.


Bubo Cup stage 3 – Larry VS carta “Vipava”, 21.07.2013 – Open B

Come detto altrove, alla svedese, mi è completamente andato in stallo il cervello.

Non è per via del fatto che c’era la carta sbagliata nel cesto e sono dovuta tornare a prendere quella giusta (è vero, non ho sbagliato cesto, è stata la prima cosa che ho pensato anche io, invece era proprio la cartina che era fuori posto): non sono una che si gioca il primo posto sul filo dei secondi, sono partita come favorita per l’ultimo posto e andare a cambiare la cartina mi ha, anzi, tranquillizzata molto sull’esito della mia prestazione, perché mi ha assicurato subito che avrei ottenuto il risultato sperato.

La uno

Si vede che monto sistema operativo Windows e ogni tanto mi blocco senza ragione apparente, e non riesco a fare niente e a pensare a niente di furbo perché tutte le mie facoltà sono impegnate in processi invisibili, ma indispensabili, tipo respirare.

A posteriori, mi sa che ho tenuto la carta girata male di circa novanta gradi, ho deciso che la casa che avevo di fronte era la seconda della fila – e non la prima – e sono stata lì impalata a cercare di girare la cartina secondo le linee del nord, tenendo fissa la corrispondenza con le case.

“Ma è impossibile” – diranno subito i Piccoli Lettori di Zzi. Esatto, è impossibile, infatti la casa che avevo davanti non era quella che credevo fosse in carta, ma io ci ho provato lo stesso per sì e no tre minuti.
Poi, siccome c’erano le signore sulla panchina che mi guardavano, sono andata a dare un’occhiata al codice della lanterna che vedevo, tanto per far vedere che faccio qualcosa anche io, e non sono un pupazzo rotto.

Per mia somma fortuna, mi imbatto nella mia seconda lanterna, capisco dove sono, come sono girata, la cosa è coerente con le linee del nord e forse, se Dio vuole, comincio la gara, recandomi con comunque molta circospezione al cespuglio di ortensie che fa ombra alla mia uno.

 

Due e tre

 

Accertato che sono proprio dove penso di essere, mi regagisco e vado a punzonare la due, tenendomi la carta davanti alla faccia per non farmi riconoscere dalle signore sulla panchina.
Precauzione inutile: avrei dovuto mascherare il culo, per rendermi irriconoscibile, ma se sapessi come nascondere il mio culone, vi assicuro che non aspetterei di essere in gara per farlo.

La strada per la tre mi sembra ovvia, ma forse non lo è.
Ritengo di aver percorso la via più breve, tuttavia si poteva passare anche da ovest tagliando per il prato e forse, stando ben aderenti all’isolato, si risparmiava qualche passo.

Dalla 3 alla 8

 

Vedo il carta lo stretto passaggio per andare alla quattro e mi sento la più figa del circondario, peccato solo che tutti gli orientisti ci si stiano infilando, sminuendo di parecchio la mia intuizione.

Siccome la differenza di velocità tra la corsa in piano e in salita è, per me, praticamente irrilevante, taglio per le scale, che mi portano alla cinque senza ulteriori esitazioni… okay, un po’ di esitazione nel leggere la carta l’ho avuta, ma solo perché c’è una selva di cerchietti e avevo paura di andare in quello sbagliato.

Ecco che i tracobetti del tracciatore fanno effetto: lui mi piazza la sei dopo la curva più evidente di una strada inconfondibile, e io mi ci butto come se fosse l’unica scelta possibile, mentre quella corretta, probabilmente, era passare in mezzo alle case e venir su da sotto, anche perché così facendo ci si sarebbe ritrovati in direzione della sette.
Ma io no, io faccio giù e su, tanto c’ho gambe, sono veloce, mica è importante, per me, risparmiare metri.

Per la otto, invece, forse ho fatto la scelta giusta, sempre per via del fatto che una leggera pendenza non inficia la mia corsa.

Me cojoni, diranno subito i Piccoli Lettori di Zzi: com’è forte, questa, che va in salita veloce come va in piano.
Ehm, no… ci dev’essere un fraintendimento: è in piano che vado lenta come se fossi in salita, ma l’effetto è il medesimo, non risento della pendenza, entro certi limiti, il che è un innegabile vantaggio.

Certo, poi muoio, ma volete mettere finire le salite prima di Zzi?

Nove, dieci e undici

 

Suppongo che dalla otto alla nove non ci fosse molto altro da fare, e che la via migliore per la dieci sia quella scelta (dunque era sbagliata dalla cinque alla sei, ribadiamolo!).

Sempre in virtù della mia esasperante lentezza sul dritto, la cosa migliore da fare sarebbe stata tornare indietro e prendere la 11 alle spalle, barattando un minimo di dislivello per un sacco di strada in meno; invece, non me ne accorgo, ma non è questa la più clamorosa cazzata della giornata.

Dodici e tredici

 

I leg 11-12 e 12-13 sono messi là solo per farti correre.

L’idea – lo dico per i fan sfegatati che mi seguono da Larrycette nonostante l’argomento infelice – è che, se ti spompi, perdi lucidità e fai delle cazzate.
In realtà, questo non succede quasi mai, perché gli orientisti sono atleti allenati, molto – ma molto – più prestanti delle fighette che corrono e basta, quindi non si spompano tanto facilmente, e solitamente sono sufficientemente esperti da non arrivare completamente cotti sulle ultime lanterne; non in una sprint in centro storico, almeno.

Con me, invece, ha funzionato alla grande.
Arrivo alla dodici visibilmente affannata, ma ho subito occasione di riprendere fiato, come a tutte le lanterne, del resto.
La mia si-card, infatti, non è esattamente la più reattiva del mondo; in aggiunta al fatto che le centraline erano assicurate col lucchetto e bisognava infilzarle per bene, le mie soste sul punto si sono spesso rivelate più lunghe del necessario, e questa lo è stata in particolare.
Sono stata talmente tanto con la si-card nella centralina, ad aspettare il “bip”, che il paese s’è messo a mormorare e io, per rompere l’imbarazzo, ho spiegato “ne radi”, che in croato vuol dire “non funziona”.

In croato, appunto.
In sloveno si dice ne dela”, ma io in quel momento non realizzo in tempo.
Mormorii, ghigni, mugugni poco amichevoli.
Finalmente la lanterna si decide a fischiare, e io parto come lanciata dalla catapulta, al massimo della velocità mai toccata da Larrycette in vita sua, immaginandomi di essere inseguita dalla popolazione in tumulto, armata di forconi.
In realtà, i cittadini di Vipava, e gli Sloveni in generale, sono persone urbanissime, ma si vede che il mio cervello risente ancora dello stallo di mezz’ora prima.

Fuggo alla tredici, ma il fallimento è – letteralmente – dietro l’angolo.

Cutuàrdis, tu quoque

[Ho esasperato i colori affinché si leggesse meglio, non ci hanno dato una psicomappa]

Il primo errore è da pirla, ma non è tanto insolito: non mi sono accorta della strada che mi avrebbe portata a sinistra non appena uscita dal cancello della 13 e ho svoltato all’angolo dopo.
È un errore stupido, ma non così impossibile da commettere.

La cosa grave arriva ora: mi accorgo che il paesaggio non mi batte un cazzo con la carta, e anche se il primo pensiero è “hanno riedificato completamente il paese in una notte, non sono io ad aver preso la strada sbagliata“, dopo che mi sono allontanata a sufficienza da rendermi conto di stare andando fuori carta, torno indietro, vedendo una lanterna su un angolo, il cui codice mi conferma che sono finita dove non dovevo, infatti corrisponde alla quindici.

Dalla quindici, una sana di mente che fa? Prende su sotto il portichetto, punzona la quattordici, torna sui suoi passi, punzona la quindici e mette fine a questa agonia.

Io no: io, dopo essere passata per la seconda volta davanti alla quindici, capisco dove sono e nonostante questo, torno verso la tredici, faccio il giro del palazzo dietro al quale sarei dovuta passare inizialmente, vado alla quattordici per “la miglior strada dalla tredici” – che è molto lontano dall’esser “la miglior strada dalla quindici” – e scendo alla quindici come da copione originale, mettendo fine all’agonia poco dopo, ma comunque “troppo dopo” rispetto a quando avrei potuto farlo.

È chiaramente una manifestazione della Sindrome di Mario Bros., la grave patologia mentale per cui, se fallisci a un certo punto di una tratta, non sei capace a riprogrammarti e ripartire da dove sei per la via più economica, ma riparti dall’inizio della tratta in questione, ripetendo il percorso finché non viene giusto, come quando giocavi col Nintendo e se facevi cadere Mario in un buco a metà di un mondo, dovevi ricominciare dall’inizio di quel mondo; al massimo, quando il percorso era particolarmente lungo e avevi superato un dato punto, potevi ricominciare da metà, ma comunque mai dal punto in cui avevi sbagliato.

Capita, quando hai il cervello di un Koopa-Troopa

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