Proprio in queste ore, sta sollevando indignazione nel mondo del running la notizia secondo cui un concorrente della 100 km del Passatore avrebbe coperto una parte del percorso in automobile.

Io, che notoriamente precorro i tempi, lancio il trend sabato 28 maggio 2016 a Mengore, ridente frazione di Tolmin (Nova Gorica, Slovenia) , arrivando alla partenza della gara di orienteering ivi organizzata sulla 4×4 del cartografo.

“Fresca come una rosa, almeno” – diranno subito i miei piccoli lettori.

No: frusta come una bagascia di Marsiglia perché mi sono ricordata solo a metà della ripidissima strada per la partenza che stavo andando allo start senza i miei fidi guanti da glamour gardener e sono dovuta tornare indietro a prenderli, dando tutto per non arrivare tardi nel cancello. Un istante prima che uscissi dalla strada carrabile per gettarmi nel bosco come Rambo, la cavalleria sopraggiunge alle mie spalle acciuffandomi a otto battiti dall’infarto.

 

La cartina della categoria WB della gara di orienteering di Mengore del 28.05.2016

 

L’attesa prima della partenza mi conferma che ho fatto bene a tornare a prendere i guanti, perché l’ambiente è ostile anzicheno: boscosissimo e con pendenze da pista nera; significa che dovrò aggrapparmi a qualsiasi cosa, e che quella cosa potrebbe essere abitata. Una chiocciola con il guscio grande come il quadrante della mia bussola – che nel frattempo è diventata una massiccia Moscow, perché la Silva fighetta l’ho sfasciata – conferma i miei sospetti guardandomi con aria di sfida da uno stelo (che presumiamo d’acciaio, vista la stazza dell’orrendo mollusco).

Il Cavalier Cartografo sottolinea che ci saranno tratte in costa e tratte in discesa. Bon che son mona, ma se gavemo postegià duezento metri sòto, un pochetin de sospetto me iera vignudo.
Certo, pensarci non mi aiuta.

Va be’, partiamo!
Ve’ che miglioramento!
Leggo benissimo, noto tutti i particolari, e c’ho una forza nelle gambe che le robe arrivan subito, starò andando a quattro… ah, no, è la carta che è un 5.000, e io vado a otto proprio perché son partita sparata.

La uno: bene.
La due: mi voglio ritirare, e mentalmente mi ritiro.
La voglio attaccare da sotto, ma mi distraggo – minchia, di già? – e vado lunga, così penso “va be’, la attacco da sopra, è discesa, ma forse ce la faccio”. Vado ad attaccarla da sopra. C’è un burrone.
Torno giù, la attacco da sotto. Non c’è l’accesso. Son sul punto del sentiero dal quale devo addentrarmi nel bosco, ma non c’è modo di infilarsi. Non c’è neanche il bosco, è foresta vergine. Qualcuno si infila e sparisce per sempre. Forse dovrei avvertire le famiglie.
Nel frattempo, Gigliola, la chiocciola col guscio grande come la mia bussola, ha punzonato e sta andando alla tre.
Inizio a farmi largo tra la vegetazione.
Cerco di non pensare che è così rigogliosa perché la terra concimata dai cadaveri dei soldatini della prima guerra mondiale, che su ‘ste cose son sensibile e poi mi prende il magone. Però, meno male che c’ho i guanti.

Tempo una decina di minuti e raggiungo la lanterna, altri dieci per farmi coraggio e staccarmi dall’albero cui mi sono aggrappata per non rotolare di sotto e in capo a una mezzoretta parto all’attacco del terzo punto con inusitato entusiasmo.

La chiocciola Gigliola sta uscendo benissimo dal punto sette.

 

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La strategia per la terza è una replica di quella per la seconda: vado a vedere se me la sento da sopra, mi ricordo che sono una culona che fa finta di fare orienteering, non sono Mimì Ayuahara che si gioca la finale del mondiale di pallavolo contro la Russia, e faccio il giro del fullo per andare a prenderla da sotto – con l’ambilìvabol, volutissimo, giro dal giallo.

La chiocciola Gigliola sta per punzonare la cento.

Sono decisa ad applicare la medesima strategia su tutte le altre lanterne, ma il terreno non sempre lo consente (né, invero, lo richiede).
Sono anche decisa a sputare nella birra del tracciatore quando mi fa passare sul sentiero col corrimano, ma poi faccio voto che se ne esco viva non lo faccio, e, in fondo, l’antropizzazione mi rassicura.

 

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In approccio alla nove noto un canyon che dev’essere proprio come quello in cui sarà la lanterna, quando ci arriverò. Ah, come sono astuta!
E corri, e che ti ri-corri, il canyon come quello che ho visto non si vede, allora capisco che non sarà a ridosso del sentiero come credo, sarà più in dentro, e vado a cercarlo nel verdino, alla ‘ndo cojo cojo. Ancora non cojo, e si vede del giallo… forse ch’io sia andata lunga? Forse che il canyon come quello che dovevo trovare era quello che dovevo trovare?

La chiocciola Gigliola sta sprintando per il finish, ma solo perché s’è fermata ad aiutare dei bambini, altrimenti sarebbe già al ristoro.

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Ho delle idee grandiose per le lanterne successive, puntualmente rimpiazzate dalla strategia “Non sono Mimì Ayuhara”, tranne per un fugace istante sulla dieci, che voglio inizialmente prendere da sopra – perché ho un accesso di orienteering e mi pare che nel centro del cerchio stia il lato nord del rudere – ma mi passa subito (cinque minuti persi in manovre, per questo accesso di orienteering).

Alla undici si va correndo in costa due curve di livello sotto, ma io – che non sono Mimì Ayuhara che si sta giocando il mondiale contro la Russia – le faccio la famosa “manovra a sorpresona” di Fernanda il trans, e la prendo da dietro.

La chiocciola Gigliola sta discutendo con Gilberto perché vuole assolutamente offrire lei il secondo giro di birre, giacché il confronto delle scelte e il primo giro di bevute son finiti da mo.

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Io sto diciott’anni a scendere dalla dodici al cilj perché non mi viene in mente di andare a prendere il sentiero e punto a naso il generatore infrattato poco più giù. Quando a tre metri da me passano di corsa anche le W60 intuisco che forse c’è un fondo stradale meno infido, e lo guadagno giusto in tempo per uscire dal bosco, con un look che altro che cast-away, fischiettando per non dare nell’occhio.

 

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