Carta da orienteering di Dutovlje (Lipica Open 2015)

L’ultimo giorno di Lipica Open è per pochi, irriducibili intimi.

Sul prato del ritrovo ci sono più cessi che atleti, ma nonostante questo la nostra bandiera garrisce garrula, facendo svettare nell’aere il logo di Larrycette… quello che sto meditando di cambiare e che sto rielaborando da almeno due mesi, così, qualsiasi cosa io decida di fare, alla fine il mio design o il vessillo sarà obsoleto.

Le carte come queste sono quelle su cui vado meglio meno peggio, essendo esse l’equivalente orientistico dei cruciverba facilitati… ma che dico? Sono i “Che cosa apparirà?” dell’orienteering! Esse, infatti:

  • sono piene di sentieri, generalmente ulteriormente evidenziati da muretti;
  • sono piene pure di muretti, che per me sono le “best linea di conduzione evah”, pure better dei sentieri, a differenza dei quali non si inerbano nel giro di una stagione e non si formano al passaggio di quattro cinghialotti;
  • sono piene anche di doline, che sono forme del terreno ben riconoscibili, spesso visibili da distante, chiaramente distinguibili per sagoma, vegetazione e dettagli vari;
  • non presentano dislivelli marcati, tanto che perfino io riesco, se non è piovuto, a percorrere le brevi e dolci discese
  • sono discretamente antropizzate: c’è sempre un campo coltivato, una torretta di caccia, una baracca degli attrezzi, un appezzamento circondato da filo spinato, un rudere o un oggetto notevole di qualsiasi natura che va in soccorso agli orientisti smarriti
  • presentano una vegetazione varia, se non addirittura amichevole, che può fornire ulteriori indizi sulla propria posizione, e che di certo è meglio delle carte italiane, che generalmente sono tutte bianche a righe marroni (vicine vicine)

Data la situazione tutta a mio vantaggio, mi devo impegnare parecchio per sbagliare, ma essendo molto portata, ci riesco comunque.

La gara

Prima tranche della gara di orienteering a Dutovljie dell'11 marzo 2015 (V tappa Lipica Open)

Per chi lo stesse cercando, il triangolo è nell’angolo in alto a sinistra dell’immagine.

Io, che non avevo l’immagine ingrandita e qualcuno che mi desse indizi su dove cercare, ho impiegato parecchio a individuarlo.

La stampa del tracciato è realizzata in una nuova sfumatura, che non è magenta puro, bensì una specie di fucsia, un colore che vira leggermente verso il viola grazie a una piccola percentuale di blu, che lo rende meglio distinguibile dai daltonici.

La maggioranza che vede i colori è fottuta, ma i pochi daltonici – che finora avevano disputato parecchie gare di orienteering senza grossi ostacoli, avendole anche vinte – se la godono alla grande.
Siccome io sono scema, pensavo che, in uno sport in cui si parte pochi per volta, a un orario preciso al minuto e previa verifica dell’identità come neanche agli esami universitari, sarebbe bastato stampare le carte diverse per i daltonici e consegnarle loro alla partenza, ma quelli che se ne intendono hanno invece capito che era più bello cambiare la stampa per tutti.

Meglio così, per certi versi: stampare carte diverse aumenterebbe le probabilità di sbagliarle, e non vorrei che il primato dello Speaker venisse insidiato.

… quindi, tornando a noi, io alla tre vado nella vicina dolina, perché ci vedo così bene che prendo la curva di livello per il cerchietto intorno al punto e penso che la lanterna sia là.
Ci metto parecchio a capire l’errore, perché il terreno batte perfettamente con la carta – per forza: sono davvero dove penso di essere, per la seconda o terza volta nella mia carriera – e non mi spiego perché non ci siano né la lanterna né orientisti che la cercano, così vago un po’ in giro a caso per vedere se trovo qualche particolare illuminante… che so… Zzi o qualcun altro che mi aiuti, per esempio.

Quando capisco l’arcano, mi dirigo alla buchetta con spavalda sicumera, ma l’entusiasmo è un po’ scemato.

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Faccio le successive tre (apprezzate la carta ribaltata, nella “prospettiva da atleta“) senza infamia e senza lode, ma poiché per me l’infamia è la regola, provo un cauto ottimismo e confido di completare il percorso nel tempo strettamente necessario, vale a dire un tempo comunque molto alto, data la mia velocità di crociera, ma non ulteriormente allungato da escursioni non necessarie in aree prive di interesse agonistico.

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A parte l’inutile circumnavigazione della otto, che premedito per evitare il verdino, salvo poi rammaricarmi perché non era poi così impenetrabile, ho un piano infallibile per la tratta lunga.

Esso, come ogni piano infallibile, prevede di piombare sulla lanterna come un falco.
All’epoca dei fatti non avevo ancora capito che quando formulo un piano infallibile per piombare sulla lanterna come un falco, la cazzata è assicurata.

Faccio giusto in tempo a incontrare Zzi e a dirgli che è tutto sotto controllo, poi sono lost in the space. L’ultimo domicilio conosciuto è la radura gialla.

Perché sono andata lunga, talmente lunga che non mi sono più ritrovata e ci ho messo un quarto d’ora a vedere il campo arato con cui mi sono (malamente) ricollocata?
Perché ho pensato “miii, che tratta lunga, starò una vita a farla” e ho marciato gambe in spalla senza pormi il problema della linea d’arresto, finché non mi sono resa conto che l’ora di punzonare era passata da un pezzo.

Le mie velleità di finire il percorso senza perdite di tempo sono subito disilluse, ma ho ancora qualche speranza di sedermi a tavola entro l’ora di pranzo.

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Ci pensa la lanterna tredici a stroncare anche queste.

Come abbia fatto non so, poiché mi sembrava un punto facile: vicino c’è una dolina con baracca, abbeveratoio e torretta di caccia, basta puntare quella e poi andare alla depressione dopo. Insomma… più facile di così, ti mettono un’insegna al neon di dieci metri sulla lanterna!

Spavalda e fiduciosa nella carta come non mai, mi approssimo al punto, forte di un piano infallibile che mi consentirà… di “piombare sulla lanterna come un falco“, bravi!

Ricordo di avere visto spesso la dolina con baracca e abbeveratoio e di essermi più volte orientata con quella, ma evidentemente non devo averlo fatto molto bene. Sono stata in posti che non mai riconosciuto, tutt’ora non ho alcuna consapevolezza di buona parte degli spostamenti in quella zona e, non fosse per il GPS, il mistero continuerebbe ad aleggiare su tutti.

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Faccio ancora in tempo a sbagliare la quattordici, cioè: a farla giusta, convincermi di stare sbagliando un metro prima di vedere la lanterna, tornare indietro, attaccare da un altro punto e non rendermi neanche conto subito di essere sempre nello stesso posto.

Poi, per la cento, opto per la discesa sul lato più ripido dell’appezzamento, giusto per completare il quadretto.

Per fortuna la Slovenia è un paese meraviglioso, in cui qualsiasi gostilna ti serve un pasto completo a qualsiasi ora.

Vi ho mai parlato della karađorđeva?

 

 

 

 

 

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