Per chi fa orienteering è già tempo di riflessioni.
Si avvicina, infatti, l’attesa gara notturna di Venezia – ancora l’unica occasione possibile per correre nella romantica città lagunare per coloro che hanno un reddito familiare inferiore ai 60.000 euro all’anno, a meno che non ci si accontenti di correre senza cartina per conto proprio – e tutti quelli che vi parteciperanno sono alle prese con le tipiche preoccupazioni del pre-gara, analisi del proprio stato di forma, considerazioni sulla preparazione svolta o da svolgere… solite menate, insomma.
Io non faccio eccezione.
Non trovando motivo di soddisfazione nel mio stato di forma – mai così cattivo da quando conosco Zzi, e a nulla varrà invocare le attenuanti generiche – ho ritenuto utile cercare conforto nel pensiero positivo concentrandomi sull’aspetto tecnico della faccenda.
L’orienteering nel sangue
Perché – mi son detta – se sai fare una cosa, la sai fare, e ti viene anche se sei sottotono. Magari non bene come ti verrebbe in altre circostanze, ma ti viene.
Per dire: io gli strafalcioni su Azimut li vedo anche se non li cerco, anzi, per quanto stia attenta a non aprirlo e a guardare, al limite, solo le figure, il refuso mi salta agli occhi mio malgrado.
Quando una è portata per qualcosa, è portata.
Ho iniziato a far caso, allora, ai segnali del mio avere l’orientamento nel sangue, per captare gli indizi della mia inclinazione per la disciplina e imparare a fidarmi del mio istinto per l’orienteering.
Ecco i segnali più chiari che il mio istinto per l’orienteering mi ha mandato.
Task 1: andare a comprare il vino nella solita enoteca dopo essere usciti dalla solita macelleria, in una zona conosciuta della propria città di residenza.
Soluzione:
Task 2: raggiungere Zzi davanti a un noto cinema non lontano da casa
Soluzione:
Magari io l’orienteering nel sangue ce l’avevo, ma l’hanno scambiato per vermi e me l’hanno tolto.
Oppure, più semplicemente
orientisti si nasce e io, evidentemente, non lo nacqui Condividi il Tweet