Per essere bello, il posto, è bello, la vegetazione è ai minimi storici e il terreno è totalmente aperto, così da ogni punto della carta si possono vedere gli edifici sul bordo nord-est, perciò fare orienteering qui non è mai angosciante. Impossibile, per quanto mi riguarda, ma non angosciante.

Se al posto della cartina mi avessero dato un foglio giallo, la pagina di un quotidiano di Pechino o un campione di carta da parati, per me sarebbe stato uguale uguale.

Tolti una manciata di paludi – invisibili nel’ambiente anche quando sei fradicio fino al culo e ci sono le sanguisughe che ti fanno la liposuzione – e tre sentieri inerbati in croce, l’unico elemento del terreno su cui basarsi per leggere la carta e fare del vero orienteering sono le curve di livello, con equidistanza 2,5.

Ora, io ho tante qualità, ma la capacità di vedere le forme del terreno e riconoscere la loro rappresentazione in carta in curve di livello proprio non è il mio forte. Se, per giunta, mi cambiano l’equidistanza, la possibilità su un milione di riconoscere un rilievo che avevo, va a farsi friggere, perché qualsiasi tana di talpa, a questo punto, può essere il dosso cartografato.

Noto ora dal GPS che l’errore di azimut dal sentiero alla uno è più o meno lo stesso che c’è dalla uno alla due, quindi – se siete tutti d’accordo – direi di far circolare la versione dei fatti di un errore della bussola.

Il passaggio nella palude non è un errore del GPS, ma sia detto a mia discolpa che il piano era stare più a ovest e passare in mezzo alle due paludi (piano del menga, visto quanto pioveva la notte e quanto i confini delle paludi sarebbero stati più ampi); col senno di poi, è andata bene così, dato che potevo benissimo finire nel rettangolino proibito, che non so cosa fosse, ma sarà sicuramente stato pericolosissimo.

Tutto quel tratto in direzione dell’arrivo, sul sentiero nei pressi della due, è per verificare di trovarmi proprio lì e familiarizzare col terreno. Pare che un po’ serva, perché a un certo punto mi illumino e raggiungo la due e la tre con eccezionale precisione.

Poi mi spengo, mi convinco di essere dal lato opposto della cordigliera e cerco la quattro nel deserto dei Tartari. La “cordigliera” – come voi che sapete leggere le cartine vedete bene – è praticamente alta come me.

Onesta la tratta per la cinque; ori-cagotto sulla sei, che non raggiungo col primo tentativo perché cappello epicamente le distanze e che approccio, quindi, col sistema più rassicurante, prima di vagare per un’altra ora alla sua ricerca.
Farei ancora un paio di lanterne perché mi pare quasi di cominciare ad acchiapparci, ma è ora di tornare indietro, anche perché, se ci sbrighiamo, riusciamo a fare tappa alla birreria Brew Dog di Aberdeen.

 

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