Anche sabato 18 ottobre, in Scozia, c’è il sole (siamo al sesto giorno consecutivo) e, complice la visita alla distilleria adiacente il campo gara appena conclusasi, non sembra neppure di stare andando a fare una gara di orienteering.

Naturalmente, appena prendo in mano la carta, l’incanto si rompe e tutto torna ad andare storto, come sempre fa quando ho una bussola al dito.

Il luogo è il bosco delle fiabe; quello in cui Biancaneve quasi lascia la pelle e in cui vivono le streghe cattive, per la precisione.

Race-the-Castles-Balmoral

Balmoral Estate

19 ottobre 2014

Dev’esserci stato un problema con la stampante, perché la carta è  tutta bianca… oppure, dato che è un’area vergine all’orienteering e cartografata per la prima volta, forse ci hanno dato le bozze.
Certo, non mancano i particolari, ma sono raggruppati per tipologia in settori distinti, a mo’ di pizza quattro stagioni: c’è la fetta di cartina con le scarpate, la fetta con i sassi, quella con il bosco tagliato, quella con le micro-radure e così via, il che non serve per orientarsi, perché, per esempio, quando arrivi in zona e sai che devi trovare un sasso, ma ne trovi trecentosessantanove, di cui solo duecentoventuno riportati in carta secondo un criterio che non hai elementi per divinare, e se, come me, sai di non essere infallibile sugli azimut, qualche dubbio sulla tua esatta posizione ti viene.

Dopo due ore di gara, torno alla base avendo trovato tre lanterne.

Non sono atterrita, non ho la sensazione di aver rischiato la vita, ma semplicemente:

s’è fatta una certa, entro mezzora toglieranno le lanterne, cazzo sto a fare nel bosco?;

gli organizzatori se ne devono andare perché suppongo che abbiano una vita, non voglio farmi conoscere per “quella che sono dovuti andare a cercare”;

non voglio far morire di freddo Zzi lasciandolo fuori da un’auto di cui detengo io le chiavi;

è palese che non troverò mai la quarta lanterna, avendola attaccata varie volte invano.

Sono stata un’eternità a fare tre punti in parte perché non li ho approcciati tanto bene (per usare un eufemismo), in parte perché il fondo è il terreno più assurdo che abbia mai visto finora: un manto di sassi non più grandi di un bidet, coperti da venti centimetri di muschio, affastellati l’uno sull’altro al punto da non lasciar intravedere la terra sotto.

Alla vista, un’immensa, spettacolare trapunta imbottita, verde brillante, punteggiata di soffici rigonfiamenti; al tatto (dei piedi) una specie di Carso hard-core, una Vilenica-musqué all’ennesima potenza, ma con meno alberi cui tenersi (e completamente priva di muretti a secco con i quali aiutarsi nella navigazione).

Ora, secondo voi, avendo presente la mia agilità e la mia dimestichezza con i terreni instabili, a che velocità potrò mai procedere su un terreno del genere?

Ecco, appunto.

Zzi è arrivato al finish contento perché – stando in piedi – la gara era divertente e il posto ricco di fascino.
Poco dopo, allo scarico, è rimasto male di merda perché ha scoperto di avere fatto PM alla terzultima lanterna, e siccome si ricordava benissimo di esserci passato, gli sono ampiamente girati i coglioni (anche perché ritiene di non poter imputare l’accaduto a un disguido tecnologico, ma di essere stato mona lui ad esserci arrivato, essersi distratto, ed essere andato via; e gli ruga de cagarse).

 

“Oh!” – diranno subito i nostri Piccoli Lettori. “Non sarà mica finita qui! Sappiamo che siete tornati, non ve la caverete con una foto oscena della cartina di Larry e cinquecento parole stiracchiate!”

A parte il fatto che sono più di seicento, vorrei provare l’ebbrezza della coerenza e chiudere il capitolo Race the Castles – lavatrici incluse – entro la settimana successiva all’ultima gara (che se proprio non è “liveblogging” è una ragionevole differita).
Ed è già mercoledì

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