Desidero innanzitutto ringraziare pubblicamente the Speaker per l’efficacissima gufata (ha funzionato anche andando indietro nel tempo) nel commento al post precedente: dopo la miglior gara della vita a Edimburgo, infatti, ho corso a Stirling la peggiore gara di orienteering di tutti i tempi, della mia e di molte altre vite.

Giungiamo con il treno in tarda mattinata, ma sembra l’alba per via della bruma che ancora intride l’aria. Fa un freddo caìno. Il termometro dirà che ci sono poco meno di dieci gradi, ma l’umidità, l’atmosfera lugubre e la luce del profondo nord fanno sì che la temperatura percepita (da me) sia meno cinque.

Dopo un lungo atto unico mi risolvo di correre senza termica, ma con i guanti; senza berretto, ma con i calzettoni lunghi.
Questi ultimi non sono quelli fighi da orientisti a righe orizzontali in stile “tata dei Muppets Babies” (spero per voi che la vostra infanzia sia stata scandita dai cartoni animati dei Muppets Babies, altrimenti non avete mai vissuto), bensì dei banali calzettoni di cotone marroni, col fastidiosissimo difetto di ammucchiarsi sulle caviglie dopo dodici passi, risultando immediatamente scomodi e perdendo la loro funzione di scaldare gli stinchi (parte del corpo in cui io, peraltro, soffro il freddo all’inverosimile). Li ho stoicamente indossati per anni; ora che, finalmente, sono ridotti a una garza in punta e sul tallone, li ho portati con lo scopo di indossarli in gara e gettarli subito dopo.
Per evitare che i calzettoni più detestati della storia dell’umanità mi tradissero prima della svedese, li ho assicurati ai pantaloncini da corsa con due bei giri di nastro adesivo all’altezza delle ginocchia, che – di conseguenza – non piegavo tanto bene, ma è un dettaglio marginale per uno che deve correre.
Per evitare che il guanto mi facesse continuamente cadere la carta, impedendomi di tenerla saldamente, ho indossato sulla mano sinistra uno dei guanti da fashion-giardiniera donatimi dalla Fantastica Farmacista e dal Proficuo Professore.

 

Dunque, ricapitolando, dalla testa ai piedi mi presentavo:

– capo scoperto, con acconciatura a lampadario a metà fra Milva e Moira Orfei
– maglietta in cotone, a mezza manica, di Gropada 2012: ricorderete che ci morivo di freddo a settembre, in Italia, in una giornata di sole
guanto nero in tessuto tecnico comprato a Edimburgo appena sbarcata, guarnito di Si-Card e gps
– guanto come sopra coperto da guanto da giardinaggio verde acqua a fiorellini psichedelici, corredato di bussola
calzoncino nero da runner convinto, talmente aderente che se ti spalmi le cosce nude di catrame metti in mostra meno ciccia
calzettone da Fantozzi che gioca a tennis tenuto con lo scotch
scarpa supertecnica di GoreTex che manco Killian Jornet alla Tor de Geants.

Quando ho incrociato Lalessiolaltro, andando in partenza, egli mi ha lievemente presa per il culo, ma non ho potuto approfondire il motivo, poiché sono dovuta correre dietro a Zzi, che fingeva di non conoscermi.

Ma veniamo alla sequela di minchiate che sono riuscita a infilare in una sola gara.

Stirling-orienteering-back

 

Stirling Castle – (very) long city race

12 ottobre 2014

A mia parziale discolpa vorrei dire che non vedevo una cippa perché la lente sinistra ha deciso di vagare senza pace per tutto l’occhio per tutto il tempo della gara, conferendomi condizioni di visuale alternanti, ma sempre scarse.
Un po’ di errori li ho commessi perché ho letto male la carta a causa di questo inconveniente, altri – la maggior parte – perché sono abelinata.

La prima parte della gara si è svolta nel castello di Stirling: location della madonna sia dal punto di vista scenografico che tecnico, perché i suoi vari livelli e passaggi controintuitivi la rendono una specie di Venezia in miniatura, da correre al massimo dell’attenzione, al ritmo di una microsprint.
Non ci casco fino alla sette, alla otto il disastro. Vago per ore alla ricerca di un passaggio per scendere al livello della lanterna; mi convinco che non so leggere il passaggio in carta e lo cerco dove non è scritto che sia (infatti non c’è); infine, non so neanche io bene perché, vedo l’ovvio, ovvero il passaggio – grande come una strada – che conduce al livello della lanterna, che è quello superiore.

Uscita dal castello faccio qualche lanterna senza eccessiva infamia (di certo senza lode), mi incasino sulla 11 per la vista, mentre cicco la via per la 12 per cretinismo: devo giungere a portata di vista della partenza per capire che ho imboccato la parallela, non vedo le scalette che mi ci condurrebbero e faccio tutto il giro per tornare indietro, allungando una tratta per la quale il paragone con Rocco Siffredi è riduttivo (a proposito: non l’ho inventato io, io cito il Vate).

Per la 12 e la 13 taglio per i boschi quando non sarebbe il caso, ma la macrocazzata arriva alla 14: “sento” che dev’esserci una scelta più furba, ma io faccio il giro dal ponte carrabile a sud-ovest; ricordo il fugace momento in cui ho preso in considerazione l’idea di studiare la zona vietata a nordest, certa che dovesse esserci un passaggio consentito anche in quell’area, ma ho pensato che se avessi interpretato male la carta e avessi preso per transitabile un posto che, poi, non lo era, sarei dovuta tornare indietro e fare comunque il giro lungo, perciò – vista la mia scarsa dimestichezza con la rappresentazione ISSOM – ho ritenuto più saggio cominciare a fare il giro lungo il prima possibile.

Ovviamente, questa parte mi ha annoiata e stancata a morte, quindi da qua in poi la mia gara è stata un’agonia. E da qua si gira la carta, perché ne manca più di metà.
Dalla 15 alla 16 allungo ancora andando a fare il giro a bordo carta perché non vedo che la via in cui mi trovo – a doppio senso di marcia, più il marciapiedi da entrambi i lati, non proprio invisibile in carta – vi conduce direttamente.

Orienteering-Stirling-back

Dalla 17 alla 18 non vedo che la righina di verde-privato si interrompe ai lati permettendo il passaggio diretto in mezzo allo spiazzo recintato, quindi faccio il giro dalla strada… tanto, oramai, non saranno ‘sti 50 metri a fare la differenza.

Anche dalla 19 alla 20 non mi fido dei passaggi furbi nei pressi della zona vietata. E poi, questi hanno appena squalificato nientemeno che Hubmann il Vecchio perché ha saltato un muretto proibito, se io metto un piede in fallo e scendo inavvertitamente dal marciapiedi di una via sbarrata in rosso, come minimo mi impiccano, mi decapitano e mi sventrano.

Sul ponte pedonale provo a leggere la carta per non perdermi passaggi strategici in approccio alle lanterne successive, ma proprio non c’è verso di evitare i semafori, che ovviamente becco rossi e che ovviamente durano un’eternità. Ai fini della prestazione, viste le mie brillanti scelte, non cambia un cazzo, ma il belino mi gira lo stesso.

Dalla 22 alla 26 sbaglio solo la strada per la 24, per la quale scelgo la via lentissima “salita & discesa” anziché la rapida “tutto dritto monaproof”.
Ovviamente la discesa dalla 25 alla 26 la faccio sul culo, facendomi anche un discreto male a un ginocchio, che mi resta piegato sotto il corpo, ma considerando che non vedo una fava sto contenta di non essermi imbelinata giù di faccia per aver sbagliato la misura.

Due cazzate sulla 27: salita lentissima tramite il bosco “per tagliare” e ingresso nel cimitero dal cancello sbagliato, che obbliga a salire al cocuzzolo circumnavigandolo sul sentiero anziché per la comoda scala diretta.
I due signori seduti sulla panchina accanto alla lanterna si rifiutano di togliermi la lente a contatto e proseguo guercia come il gatto di Pinocchio (o il gatto era zoppo e quella guercia era la volpe? Non me lo ricordo mai).

La 28 non mi frega, in compenso cappello l’ovvia 29 prendendo per la seconda volta su due la parallela sbagliata in quella zona.
La 30 la sbaglio perché vedo chiuso dove è aperto, la 31 perché perdo il conto dei giardinetti; anche nel demenziale pettine 33-34-35-36 faccio un errore, ma piccolo, in compenso capisco perché gli organizzatori hanno fatto una gara così lunga: volevano essere certi che non avessi più la forza di metter loro le mani addosso una volta arrivata.

Secondo rem era una bella gara; evidentemente, capendola la si apprezzava meglio.

Zzi è andato meglio, ma ha anche lui fatto una scelta che dà un nuovo significato al concetto di oricazzata… quindi non è tutta colpa mia, sono stata allevata male!

 

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1 Response » to “Race the Castles liveblogging: Stirling (2/4)”

  1. The Speaker ha detto:

    Coraggio, solo chi cade può risorgere (e cadere di nuovo). Ma vi hanno fatto girare anche attorno al monumento a William Wallace con la faccia di Mel Gibson? Sarà stata la visione del bell’uomo a confonderti? Hai almeno urlato “LIBERTA'” al traguardo?

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