Larry alla Cerkno Cup

On 17 Settembre 2014, in Orienteering, by Larry

Io alla Cerkno Cup – la tradizionale e prestigiosa kermesse di orienteering che ogni estate, da vent’anni, si tiene in Slovenia dalle parti, per l’appunto, della stazione sciistica di Cerkno – ero già stata.

Correva l’anno 2012.
Lo ricordo con certezza perché la nostra giovane, ma rispettabile, società, aveva ottenuto il permesso di esporre sul campo gara lo striscione di Gropada 2012, che si sarebbe svolta alla fine del settembre successivo.

Segue paragrafo nostalgico in cui non ci si capacita di quanto tempo sia già passato da Gropada 2012, di quante cose siano cambiate nel frattempo e bla e bla e bla.

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Escludendo il mal d’auto patito per raggiungere il campo gara, quella del 2012 era stata, per me, una fantastica Cerkno Cup.
Una volta sul posto, infatti, mi sono accomodata sul telone presidenziale e ho trascorso la mattinata dormicchiando all’ombra di un grande albero, apprezzando l’aria montanina e il sole splendente, ma gentile.
Ogni tanto, mi intrattenevo con un cagnolino, un bel bimbo piccolo con la testa rotonda come quella di Charlie Brown e l’elicottero telecomandato di Marko con la K.
Quando gli altri hanno finito con il loro stupido orienteering, siamo andati a mangiare tutti insieme nel rifugio; una gran bella domenica, insomma.

 

Cerkno Cup 2014

La mia Cerkno Cup 2014 non può dirsi altrettanto fortunata, infatti partecipo alle gare.

Grazie al cielo, le ferie di Zzi hanno un limite, e non ci scoppiamo tutta la sei giorni (3 di gare + 3 di training), ma comunque ci roviniamo il weekend.
Per rovinarmelo un po’ meno, e risparmiarmi almeno un po’ di mal d’auto, prendiamo un appartamentino in zona, talmente grazioso e funzionale che ci abiterei, non fosse per la falena delle dimensioni di uno pterodattilo che staziona in veranda.

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Ok, hanno anche appeso storta la kitschissima copia dell’abbraccio di Klimt, ma è pulito come una sala operatoria, mobilio e finiture sono nuovi e tutto è in nuance di rosso e arancione.

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Il paesaggio intorno, poi, è ameno e bucolico, antropizzato il minimo indispensabile per non farti sentire allo sbando nella natura matrigna: l’ideale per ritirarsi a scrivere il romanzo della vita con una macchina da scrivere a martelli, sempre che tu sia Colin Firth e la tua governante sia una strappona portoghese bramosa di saltarti addosso, ovviamente.

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Siccome non sono una romanziera, ma non sono neppure autosufficiente, mi faccio accudire dal solito, collaudato bonazzo intellettuale.

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Dormire sul posto implica anche di cenare in qualche gostilna specializzata in cucina locale (stavolta siamo dalle parti di Idrija, patria degli Žlikrofi, deliziosi raviolotti farciti di purea di patate ed erbe aromatiche), ma ogni rosa ha le sue spine: abbiamo anche tutto il tempo e l’agio di prendere parte alla sprint in centro storico.

 

Cerkno Cup 2014, stage 2

Lome

 

 

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Non serve essere orientisti esperti per avere lo spauracchio di Lome.

Il nome di questa località è, per un tesserato FISO, causa di brividi lungo la schiena; per tutti gli altri è la leggenda che questi ha creato.

Io, che non ho il minimo senso della tragedia, sono andata a questa gara pronta alla morte come Ettore alla guerra di Troia.
A momenti resto secca alle porte Scee, perché la partenza è in salita su una pendenza che mi dà già seri problemi, e per fortuna che la direzione è la salita, altrimenti sarei ancora paralizzata là.

Ai cancelli c’è il signore coi baffi e la faccia a punta che mi ha salvato la vita sul sentiero del ritorno di Golovec, con il quale, da allora, siamo amiconi e che ha preso l’apprezzata abitudine di sincerarsi spesso delle mie condizioni.

Ormai mi prendono per il culo anche all’estero.

Entro subito in carta come mi si conviene: vedo benissimo l’evidente linea di conduzione che conduce anche il meno esperto degli atleti, ho ben chiare le linee di arresto e le manco alla stragrande.

 

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Alla due mi remeno sei ore su una serie di forme del terreno che sembrano tutte uguali e che potrebbero tutte essere potenzialmente quelle sulle quali credo di trovarmi.

Il fatto che non ci sia, nei paraggi, nessuno che si remena a cercare lanterne mi fa capire che non sono tanto in zona punto, ma siccome non ho idea di dove potrei essere, se non lì, sto parecchio da quelle parti a ostinarmi a far combaciare carta e terreno forzosamente.

Poi trovo una lanterna, per culo dei culi è la mia terza e, a quel punto, neppure io ci metto molto ad andare alla due e tornare alla tre.

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Capisco che non sono in grado di navigare su un terreno del genere e opto per un uso massiccio dei sentieri, solo che prendo quelli sbagliati, anche se lì per lì mi sembrano quelli giusti.
Nella fattispecie, dalla quattro alla cinque ho scelto il giro più largo per via della presenza di un praticello, che confidavo poter usare come punto di riferimento per abbandonare il sentiero e salire verso il punto.

Disgraziatamente, il piano ha funzionato, riempiendomi di arrogante fiducia nelle mie capacità di navigazione: l’ideale per compiere, da qui in poi, scelte mortali.

 

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[Nebbia totale su alcune tratte]

 

Il terreno è, effettivamente, un po’ impervio, e non muoio di paura solo perché c’è un sacco di gente nel bosco che fa la mia stessa strada e mi illudo che possano chiamare soccorsi in caso di necessità.

Giunti all’asfalto (l’amico asfalto), gli orientisti si buttano nel bosco e puntano alla dieci seguendo – ipotizzo – la curva di livello.

Io, che non ho mai capito un cazzo di curve di livello e, a questo punto, dubito mai lo capirò, scelgo il giro del fullo sull’asfalto: è più del doppio della strada, ma almeno non è disseminata di trappole di civiltà precolombiane.

Poi ci ritroviamo tutti nei pressi della solo apparentemente banale lanterna numero dieci, a tentare ogni attacco possibile e immaginabile e trovandola, alla fine, a orecchio.

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Cerkno Cup 2014, stage 2.2

 

Idrija

Sottotitolo: il pomeriggio di un giorno da cani

 

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A Idrija ero già stata una volta nel 2011, quando ho accompagnato Zzi a una gara di trail-o sotto una pioggia torrenziale.
Durante il viaggio leggevo il dizionario di tedesco seduta dietro e – buffamente – avevo delle nausee da puerpera.

Il 19 luglio, giorno della gara in centro storico, invece, splendeva raro il sole nel cielo e, poiché si trattava di una delle poche volte che quell’estate il sole splendeva, lo faceva con tutta la sua forza, per compensare.
Sono le sei di sera in una località a 300 metri sul livello del mare e sembrano le due del pomeriggio di Ferragosto alla Bovisa.

Solo la vista delle fosfotette francesi ci tira un po’ su.

Alla Cerkno Cup 2014 partecipa, infatti, una delegazione d’oltralpe, al cui interno spicca una ragazza forse non ancora maggiorenne, mediamente graziosa, con i capelli chiari e la pelle abbronzata, e due bocce da paura strizzate – ma neanche tanto – in una canottiera Nike giustamente aderente color corallo di Mururoa.

È il mio idolo e la mia consolazione in queste giornate di sofferenza.

 

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Faccio molto bene la uno perché, per miracolo, vedo in carta il passaggio e non parto per il giro del fullo per la strada grande. Più che miracolo, andrebbe chiamato “M12 che mi ha superata già ai cestini con le cartine”, ma l’importante è che io veda la strada.

Guadagnato l’asfalto per la seconda lanterna, inizia la sequela di sciagure.

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Vedo adesso – adesso! – che conveniva passare da sopra, quando arrivo in zona punto sbatto dentro a un cancello chiuso. In effetti, forse, in carta era scritto, ma – anche se conoscessi così bene la simbologia da capirlo – non ci vedo abbastanza bene per saperlo prima di arrivare sul posto.

 

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Per le suesposte ragioni sbaglio la 3, che cerco sotto quando, invece, è sopra, alla quattro arrivo già strafatta perché tiro a recuperare – sfinendomi – e siccome non riconosco le evidenti forme delle case (una ha un passaggio interno e l’altra ha un abside, non sono né simili, né comuni), piglio il lato sbagliato della casa, allungando la rotta per la cinque.

 

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La sei e la sette sono a prova di idiota, ma ho i polmoni detonati e non riesco a cogliere l’occasione di recuperare, né – tantomeno! – di studiare il percorso per le lanterne successive durante l’agonia del lungo trasferimento.

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Alla otto vorrei fare ricorso perché – per una cazzo di volta che capisco la simbologia, leggo con esattezza la carta e formulo un piano sensato – la realtà non corrisponde alla mappa e do un’altra facciata in un cancello chiuso.

Da lì sarebbe forse stato opportuno tornare indietro, ma le toniche chiappe russe davanti a me tirano dritto, e chi sono io per mettere in dubbio la scelta di percorso di due chiappe russe così toniche?
Se la bionda ha quel culo lì, significa che corre un sacco, quindi fa un sacco di gare, quindi è molto esperta.

Ripensandoci, forse corre un sacco perché sbaglia un sacco di volte strada e fa tutte le gare praticamente due volte, a furia di allungare le tratte, ma lo spettacolo meritava comunque di essere prolungato.

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La nove l’avevo vista, mentre – un po’ per l’incapacità, un po’ per lo sfinimento – devo pensare bene a quale sia la strada giusta da imboccare per la dieci, ché se mi infilo in una cieca son fottuta, con ‘ste pendenze.
Non mi pare possibile che non ce ne sia una prima, invece quella giusta è proprio quella più lontana.
L’ultimo tratto di salita, in mezzo alle proprietà private, è un supplizio.

 

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Arrivo in condizioni penose, talmente penose che non ho la forza di scaricare la Si-Card, così ci mando Zzi.

E non appena lui si gira, io – furba come una volpe – mi precipito a sguazzare nel fiume, accanto alle fosfotette francesi, soffrendo le pene dell’inferno per via del greto sassoso, sul quale ho optato di camminare scalza per non rovinare le mie fighissime scarpe nuove, che devasterò con calma il giorno dopo.

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Cerkno Cup 2014, stage 3

Lome (répete)

 

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Dopo un sonno ristoratore, mio, durante il quale Zzi non ha chiuso occhio e ha perso sei chili sudando, perché io ho voluto dormire con le imposte sigillate per non far entrare la farfalla, ci accingiamo ad affrontare nuovamente il bosco di Lome.

La prima lanterna è geniale: bisogna tornare indietro.
La cosa non mi crea problemi, perché, mentre aspetto la mia ora, vedo che lo fanno praticamente tutti, perciò non cado preda del dubbio quando è il mio momento di tirare su la carta.
Siccome mi ama, e ci tiene alla pelle, Zzi mi rammenta che il regolamento dell’orienteering dice che, se c’è la svedese, bisogna arrivarci, e non sognarsi di tornare indietro appena afferrata la cartina.

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Guanto la carta, faccio la faccia dell’atleta meditabonda per la stampa, passeggio lemme verso la svedese mentre faccio l’origami, poi getto al vento la già poca dignità tornando indietro di corsa, come hanno fatto gli altri, solo che quando io ripasso nei cancelli a tutta birra sono infinitamente più lenta degli altri; in compenso, sono già paonazza.

 

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La uno non era tanto difficile, la due, in pura teoria, nemmeno, solo che la pendenza è opposta alle mie capacità e io sto – credo – cinque ore a raggiungerla, perché non riesco a scendere e perché non riesco a fendere la vegetazione subtropicale cresciuta alla base dei tralicci della corrente.

“Ma Larry” – diranno subito i miei Piccoli Lett-ori – “porca puttana, non c’era bisogno di passare fra i tralicci, si andava a prendere il sentiero poco dopo la dolinetta con la paretina di roccia ed era fatta.
Eh, lo so, ho sbagliato, non l’ho visto.

Traumatizzata dal passaggio accanto a una buca fra le rocce larga esattamente come un essere umano, ma profonda fino all’inferno, mi risolvo di andare alla tre con una scelta conservativa.

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Di quel  che segue ricordo solo l’ottima idea di andare alla cinque seguendo la curva di livello e la pessima esecuzione del piano, con le gambe tremolanti sul pendio, le mani sui sassi e il cervello che non fa che pronosticare disgrazie, che vanno dal “metto un piede in fallo e mi schianto sulle rocce (da ottanta centimetri)” allo “sbuca una vipera da un anfratto e mi morde una mano”.

Il GPS si era scaricato, così chiedo che ora sia a una bellissima ragazza di passaggio, apparentemente scozzese.
Salta fuori che è passato un sacco di tempo, ma non ancora tutto, e non ho scuse per ritirarmi.

Approccio con il consueto rispetto la discesa, vado a bere, bacio appassionatamente Zzi, sbaglio un attimo strada, poi mi ricolloco e proseguo la mia gara, non prima di essermi fatta un altro cicchetto.

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Alla otto vado alla cazzomannaggia puntando la bussola e pensando che, se finisco sul sentiero, sono andata lunga e devo tornare indietro.
Trovo prima la lanterna del sentiero, ma è solo culo, invece, nelle due tratte successive  – udite, udite – addirittura capisco qualcosa.

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Il tracciatore – la cui partenza controintuitiva mi aveva fatto innamorare, perché mi aveva fatto sperare che fosse un fulminato – non è che un banale sadico, e non lo amo più.

Mette lì una tratta sotto il sole che ha l’unico scopo di ammazzare la gente, poi ci fa fare un po’ di salita, ma  – soprattutto – una bella cazzo di discesa nel bosco con tanto di canyon da attraversare, e un umiliantissimo arrivo nel prato sotto gli occhi di tutti.

E – colmo della sventura –  al mio arrivo, le fosfotette francesi se ne erano già andate.

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2 Responses to “Larry alla Cerkno Cup”

  1. The Speaker ha detto:

    Magari la francesina era Lucia Moniz (che è tutto fuorché una strappona, come Colin Firth sa bene!)

  2. Larry ha detto:

    No, no, questa meritava, l’ha notata perfino Zzi che – diciamocelo – non è che sia un intenditore, visto quello che ha sposato…

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