Il percorso della categoria WC della gara di orienteering nel centro storico di Dolina (Trieste) – tenutasi domenica 29 settembre –  sembrava fatto su misura per le mie caratteristiche atletiche e tecniche.

 

Nonostante questo, sono riuscita a cappellare praticamente tutti i punti.
Come potete vedere dalla carta, sbagliare era difficile, ma io ci sono riuscita lo stesso.

Di seguito descrivo il fantasioso modo in cui sono riuscita ad impiegare quasi 40 minuti per coprire un percorso che ne richiedeva, a occhio, meno della metà.

Dolina 2013 – Campionato regionale Friuli Venezia Giulia di orienteering in centro storico

Dalla partenza alla 1

 

La partenza è a prova di idiota: c’è una sola strada.
Come se non bastasse, al cancello del “meno due” è esposta la carta, così uno sa già da che parte voltarla quando la tirerà su.

Poiché io, di solito, perdo un sacco di tempo a cercare il triangolo sulla carta (e – successivamente – i vari cerchietti, perché perdo il segno in continuazione), questa usanza mi è di grande utilità e devo dire che, questa volta, dopo aver preso la carta, ho individuato prontamente la mia posizione e ho imboccato con sicumera la (sola possibile) direzione.

La sicumera è stata tale che sono andata lunga di circa il 40% del tragitto, perché mi sono concentrata troppo ad individuare il triangolo e troppo poco sulla scala della carta, che era 1:4000, ma che io ho trattato – a prima vista – come una 1:7500.

Avvedutamente, torno indietro e mi inerpico per l’unica via possibile, uno stretto sentiero reso scivoloso dall’abbondante pioggia, disseminato di radici affioranti e reso insidioso dalle sterpaglie. Non ho ancora sudato e già ho lanciato un accidenti al tracciatore (che è il mio non-poi-così-Previdente Presidente).

Riemersa dalla giungla incontro Elvio, che vorrei ammonire dall’attraversare la foresta alle mie spalle, ma non ho fiato a sufficienza per farlo; correrò tutta la gara con l’angoscia di avercelo sulla coscienza.

Alla lanterna uno c’è un traffico della madonna.
Non mi riferisco al Brioso Ballerino e al Geometra Giallo, apparentemente materializzatisi dal nulla davanti a me, bensì ad automobili e furgoni, convenuti lassù in gran numero per quello che non mi sono riuscita a spiegare con altro se non un raduno.
In special modo, la BMW azzurra con targa tedesca era fortemente imbranata e mi ha sequestrato altri tre veicoli intorno alla lanterna, facendomi praticamente morire intossicata perché – diciamocelo – non sono stata molto veloce ad andarmene dal punto.

 

Dalla lanterna 1 alla 2

 

A dire il vero, per essermene andata subito, dal punto, me ne sono andata subito, solo che l’ho fatto nella direzione sbagliata.
Siccome il Brioso Ballerino e il Geometra Giallo sono andati da una parte, ho deciso che la gara si sviluppava per di là e mi sono lanciata all’inseguimento, senza considerare il fatto che, avendo essi una prostata e una manciata d’anni più di me, con ogni probabilità avevano anche un percorso diverso.

Da vera orientista qual sono, ho sprezzo della bussola nei centri storici.
A ben guardare, non è chiaro perché io vada in giro con questo curioso strumento sul pollice, giacché nel bosco non mi serve perché non la so usare e in città non la uso perché ho sentito dire che non serve.
Alla terza grossolana imprecisione del cartografo che rilevo, mi sorge il sospetto di avere la carta girata, controllo, mi congratulo con me stessa per la raffinata deduzione e faccio dietrofront, ripassando in mezzo al carosello di vetture, dei cui guidatori immagino la gioia.

 

Dalla lanterna 2 alla 3

 

Faccio questa tratta relativamente bene, nel senso che non vado lunga, non vado dalla parte opposta, non casco per terra, non perdo la bussola (in senso letterale: ogni tanto mi scappa dal dito), non perdo la fede (in senso letterale: per il freddo mi si restringono le dita, ma io me ricordo solo quando sono in gara, quando è un po’ tardi per metterla al sicuro in macchina), non ingaggio una lotta nel fango con una pantegana, insomma: non faccio nessuna delle cose che faccio di solito.

Peccato che la scelta di percorso migliore fosse l’altra, quella per la viuzza parallela a quella dov’era posata la seconda lanterna, che termina con una breve rampa di scale e conduce a una strada con pendenza lieve, e non la breve discesa e la dura salita per cui ho “optato” io.

 

Dalla lanterna 3 alla 4

Siccome la salita mi ha uccisa, ho un sacco di tempo per leggere la carta.
Probabilmente la strada più “corribile” è quella asfaltata a sinistra, mentre ripassare per la piazza con il monumento, scegliendola strada asfaltata a destra è talmente una cazzata che me ne accorgo perfino io.
C’è, però un sentiero a metà che sembra costituire la scelta metricamente più breve.

L’orientista che è in me nota che è strano che il tracciatore abbia previsto di farci passare per la stessa strada dalla quale siamo venuti, ma poiché sarei dovuta arrivare da un’altra parte, è probabile che la via di uscita dalla terza lanterna per andare alla quarta sia proprio quella.
Entusiasta delle mie doti di fine psicologa, mi “precipito” per la discesa dalla quale ero salita, certa che il GPS mi darà ragione.

Porca puttana, il GPS!
Mi sono dimenticata di accenderlo anche questa volta.
Va be’, lo accendo adesso, tanto, data la velocità a cui vado, non avrà difficoltà a localizzarsi.

 

Dalla lanterna 4 alla 5 e alla 6

 

Mentre medito sulla necessità di lanciare una petizione per chiedere agli organizzatori delle gare di mettere al cancello del “meno tre” un cartello recitante “accendi quel belin di GPS, mona!” o – visto che il gingillo sarebbe vietato – almeno un omino che, mentre spunta i numeri di si-card, rammenta ai concorrenti di attivare la scatola nera (possibilmente dando loro dei mona, che fa sempre bene), arrivo con la mia consueta flemma a punzonare la 4 e proprio non c’è niente da fare: devo andare alla 5.

Non voglio andare alla 5, è tutta in discesa la strada per la 5.
Guardo la cartina trenta volte per vedere se – per caso – non c’è modo di andare in basso facendo una salita, ma il mica-tanto-Previdente Presidente non ha previsto questa opzione, e mi tocca scendere per lo scivolo insaponato che la strada è.
Per fortuna incontro Zzi, che la sta facendo in salita, ma – inspiegabilmente – non sembra apprezzare la pendenza.

La sei è lì.
Riguardando adesso la cartina, si nota che tornando sui propri passi e aggirando la proprietà privata nell’altro sento, si sarebbe risparmiato qualche metro, ma, così facendo, si sarebbe dovuto attraversare il giallo in discesa; per le mie caratteristiche motorie, la mia scelta è l’unica giusta, nel senso che è la sola scelta giusta che faccio in questa gara.

 

Dalla lanterna 6 alla 8

Dato che la gara è andata in vacca poco dopo la partenza, prima di andare alla lanterna successiva arrivo fino allo slargo per dare indicazioni stradali a una nanerottola più persa di me, pentendomene poco dopo. Non devo, infatti, aiutare e far divertire in questa disciplina le nuove generazioni, è giusto che ne conoscano le frustrazioni e i dolori, e che la abbandonino. Se alimento il ricambio generazionale, non la finiremo mai; se, quando saremo troppo vecchi per organizzare le gare, non ci saranno quaranta/cinquantenni che lo faranno per noi, forse, almeno in vecchiaia, avrò pace.

Poi torno alla lanterna 6 e vado verso la 7; cerco un passaggio in salita, ma non lo trovo e torno giù; mi accorgo che devo scendere e che sarebbe stato meglio se fossi venuta su direttamente dallo slargo in cui già mi trovavo grazie alla provvida nanerottola. Ad ogni modo, l’importante è aver trovato il sentiero che mi serve, cioè quello che passa sulla lanterna 7 per finire – dopo l’attraversamento della strada – sulla 8.

È estremamente stretto, sconnesso e scosceso. Se incontro qualcuno in senso opposto, come minimo muoio per la paura di cadere dal dirupo, ma non incontro nessuno: sono in gara da talmente tanto tempo che non c’è in giro anima viva.

Per fortuna devo percorrere questo sentiero in salita e riesco a farlo senza finire – strano a dirsi – con il culo per terra.
Non so se lassù qualcuno mi ami, ma di certo il tracciatore mi vuole tanto bene.

 

Dalla lanterna 8 alla lanterna 9 e alla 10

 

Vanifico l’ottima scelta di percorso della tratta precedente leggendo male la carta e aspettandomi la nove – come sempre – in corrispondenza del numero e non del cerchio; resamene conto quasi subito, mi dirigo sul punto, che per fortuna è raggiungibile facilmente da dove sono.

Per andare alla dieci metto in scena una riduzione di Amleto – il principe del dubbio.
Scendere per le scale a sinistra, o non scendere per le scale a sinistra?
Se sia più nobile abbreviare la strada o correre velocemente per quella più lunga?
Abbreviare, correre… abbreviare…

Per un po’ penso anche che le scale che mi servono siano quelle alle mie spalle e faccio un pezzetto indietro, poi l’umidità della giornata fa gonfiare il mio poco cervello, che raggiunge così le dimensioni minime per permettermi di capire dove sono e scendere dalle scale giuste, ma è un fugace momento di gloria: era molto meglio scendere dall’altra parte, la strada sarebbe stata più breve e in discesa.

 

Dalla lanterna 10 alla 11

 

Anche questa è una tratta che ho percorso bene, nel senso che non l’ho infarcita di cappelle (era, invero, piuttosto breve, non offriva molte occasioni di sbagliare).
Le sto dedicando un paragrafo solo perché ho dovuto girare la carta e, di conseguenza, estrarre una porzione di carta a parte.

 

Dalla lanterna 11 alla 12

 

Qui, sebbene non ci fossero altre strade, stavo per sbagliare ancora e andare a sinistra, come la sbandata in mezzo alla piazza testimonia. Cosa volessi fare a sinistra e dove pensavo di arrivare è ancora tutto da determinare.

 

Dalla lanterna 12 al finish

 

Il tracciatore non mi ama più e mette tra l’ultima lantera e la “100” una tratta lunga come la quaresima di soli polmoni. Da un lato è un bene, perché la testa – anche nel periodo ipotetico dell’irrealtà in cui ne avessi avuta una – a quest’ora non ci sarebbe più, dall’altro è una sciagura perché se io devo fare più di trenta passi consecutivi, mi sfinisco e rallento paurosamente un’andatura che è già da vegliarda.

Buona parte della tratta, poi è su sterrato; anche questo, da un lato è un bene perché la ghiaia è meno scivolosa dell’asfalto, dall’altro è una sciagura perché la terra è viscida e sulla ghiaia inciampo, quindi è sicuro che cado. Cado e mi rompo i denti. Cado e mi rompo gli incisivi superiori, i miei bellissimi, drittissimi e grandissimi incisivi superiori, di cui vado molto fiera, anche perché – tolto un canino cariato e gli incisivi inferiori, già scheggiati e non altrettanto perfettamente allineati – sono gli ultimi denti che mi sono rimasti in bocca.

Perché il per-un-cazzo-Previdente Presidente non ha pensato che giù di qua mi sarei ammazzata? Non gli importa di me? È talmente abituato al fatto che non gioco mai che si è dimenticato che avrei partecipato e non ha preso adeguate misure per la mia incolumità?

Padre, perché mi hai abbandonato?

Mentre sono tutta presa da queste riflessioni, una bambina alta come il mio femore mi supera e mi dà via giù per il sentiero. Io dovrei essere umiliata dal confronto, ma non lo sono, perché sono abituata a ben peggio.
Giù per lo stesso sentiero era andato anche un signore con una bimba in passeggino, e non ha ancora terminato di percorrerlo.
È solo grazie alla mia corsa cauta ed accorta che l’innocente creatura e il suo cazzo di passeggino di merda di traverso sull’unico minchia di sentiero dove possono passare gli atleti non sono stati travolti; ma non mi ha dato alcun fastidio trovarmelo tra i piedi.

Se al posto mio ci fosse stato Lalessiolatro, avrebbe fatto, suo malgrado, una strage.

 

 

 

2 Responses to “Orienteering a Dolina: Campionato Regionale FVG Centri Storici”

  1. […] Torno a parlare di orienteering dopo la traumatizzante trasferta ungherese (per la quale sono ancora in analisi e di cui non sono pronta a parlare) in occasione di una gara organizzata circa un mese fa (come sempre, Larrycette è sul pezzo) dalla nostra giovane, ma rispettabile società: DOLINA. […]

  2. […] a Olio Capitale e da Zanovello: ne ho di ligure, di veneto, di siciliano e di pugliese, e di recente me ne hanno pure regalato una bottiglietta di una varietà prodotta a Muggia, ho solo […]

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