Non solo Zzi mi iscrive contro il mio volere alle gare di orienteering, ma ha la perniciosa tendenza a portarmi a correre.

“Correre”, ne convengo, è una parola grossa: correttamente definiremmo ciò che faccio in quelle occasioni “affannarsi malvestiti procedendo scompostamente“, come i dati di attackpoint (a lato) ci rivelano.

Qualche settimana fa, ad esempio, siamo andati con il Previdente Presidente a Basovizza.
Il Presidente è anche molto Paziente, perché anche se lui copre in un passo la distanza che io impiego svariati minuti e “falcate” per percorrere, è rimasto con noi, anziché fare il giro cinque volte per far passare il tempo.

Monte-Gaja

 

Basovizza-Gropada-Basovizza

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Abbiamo fatto questo bel giro qua, con partenza – come sempre – baldanzosa e arresto pressoché immediato.

Verso la fine del nostro percorso, Zzi nota un sentierino e chiede al Presidente dove esso conduca.
“Sul monte Gaja” ci risponde come se fossimo gli unici due mona al mondo a non saperlo.

“BEEELLOOO, VOGLIO ANDARCI!”  esclama una voce che sembra provenire dal mio corpo, ma che io non  condivido.
Subito, però, scendo a più miti consigli e mi informo “Aspetta, aspetta: dov’è la cima del monte Gaja?” – “Lì” mi rispondono i miei  aguzzini, indicando un punto dietro le frasche che a occhio e croce è più alto di noi di 4 metri.
Si può fare. Andiamo.

Il dislivello, in effetti, era tutt’altro che impegnativo, solo che non avevo fatto i conti con la natura matrigna.
L’amichevole sentiero, che si dipartiva ameno da quello principale, si è tramutato, dopo pochi metri, in una vaga traccia nella giungla, per poi sparire del tutto nel giro di pochi passi.
Il Presidente sa dove andare e si muove agile come uno stambecco fra le rocce alte come me e la vegetazione che gli arriva alle anche (il che significa che a me spuntano a malapena gli occhi.

Monte-Gaja-2

Zzi lo segue senza difficoltà, trattenuto solo dalla premura nei miei confronti.

Io saggio il terreno cinque volte prima di muovere un passo e ogni volta sono raffiche di improperi.
Polemizzo con non si capisce bene chi per aver messo lì quei massi, per aver disposto che le piante ci crescessero in mezzo, per via del muschio sulle cortecce che non mi permette di aggrapparmi.
Quasi quasi mi faccio credente per trovare un capro espiatorio.

Poi, finalmente la cima.
Ho la reazione dei pinguini di Madagascar quando raggiungono finalmente l’Antartide: che schifo.
Cioè: non che sia un posto schifoso in senso assoluto… insomma: non è la Ferriera, per intenderci, però non è neanche come mi aspetto che sia la cima di un monte. Non è altro che un tratto di bosco rialzato, ma non si vede niente, la vista è chiusa, si potrebbe essere su un rilievo o in una depressione e il panorama sarebbe il medesimo.
La ricompensa non è affatto commisurata all’impegno e me ne torno giù con la netta sensazione di aver preso una fregatura, cercando di inseguire un Presidente in fuga che continua a dire “ara che ben che se passa qua”, mentre supera ostacoli come uno spettro, lasciandomi davanti alle pareti di roccia a domandarmi “da dove cazzo sarà passato?”

Il Presidente, inoltre, normalmente è una piacevole compagnia, alla quale non mancano argomenti, e ha sempre qualcosa di interessante da raccontare (xé una ciacola, in poche parole), anche – anzi, specie – correndo, cosicché, quando uno non ha fiato per portare ossigeno al cervello, deve anche sprecarlo per consentire lo svolgimento della conversazione; durante la discesa, però, è stato colto da improvvisa afasia, di conseguenza, essendo egli troppo veloce per rimanere a portata di vista, mi seminava regolarmente, accrescendo la mia angoscia.
Per fortuna Zzi, che ha l’udito assai più fino del mio, non ne perdeva le tracce.
Facile, quando la vegetazione non arriva a lambirti il mento, però.

Siccome la salita e la discesa – se così possiamo chiamarle – del monte Gaja hanno rallentato inverosimilmente la mia andatura, quando giungiamo sull’amico Asfalto ho un moto di onestà e propongo di fare ancora qualche metro in direzione Gropada, giusto fino a portata di sguardo, non oltre la curva che vediamo.

Per gli spilungoni è irrilevante, e mi seguono placidamente mentre io arranco con la faccia di quella che sta finendo la cento chilometri del passatore.

Poi, l’aggressione.

 

Un mostro gigantesco mi assale ripetutamente, accanendosi sul mio braccio destro.

Con la coda dell’occhio, lo vedo svolazzare sotto la mia ascella: è una bestia non più corta di quindici centimetri, affusolata, color pidocchio, forse un po’ più verde. Ne sono inorridita e di certo non mi metto ad analizzarlo.

Cerco di scappare, ma devo essere paurosamente lenta, perché lo sento ancora appoggiarsi al mio braccio.
È una maledizione.
Aiuto! Aiuto!
Un mostro, toglietemelo!

Nessuno viene in mio soccorso, mi dicono solo qualcosa di insensato, che io non comprendo bene perché sono troppo impegnata a fuggire urlando.

Fate qualcosa!

….

Ah.
Ma guarda.
È la spallina elastica del reggiseno, che si è rotta.
Mh.
Beh, potevate anche dirlo subito, no?

Monte-Gaja-3

3 Responses to “Un’avventura nella giungla: allenamento intorno al Monte Gaja”

  1. […] Vi racconto solo a voce la mia disavventura (che potete ascoltare direttamente dal post o scaricandola dalla mia pagina iTunes, cliccando qui nel post o sul mio faccione a lato), e per il testo e le (strepitose) immagini vi rimando al mio post su Larry&Tsitalia. […]

  2. Giulio GMDB ha detto:

    Mi stupisco che Zzi non abbia ancora mai pensato ad attaccarti dietro qualche farfalla finta: scommetto che alle gare arriveresti prima 🙂

  3. Larry ha detto:

    Sarei più propensa alla canna da pesca sulla schiena con appesa una fetta di focaccia che mi penzola davanti, tipo carota per il mussetto

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